Claudio Lolli cantava: “Oggi è morta una mosca, dopo avere volato, tanti anni da sola bassa, bassa su un prato…”. La frase è la parte iniziale di un brano dell’album “Ho visto anche degli zingari felici”, anni settanta, tanti anni fa. Erano gli anni d’oro di una sinistra “impegnata”, quella sinistra con l’Eskimo, la barba lunga e i volti sempre seri. Allora, un cantautore bolognese usava una metafora per cantare la morte sul lavoro di un operaio, una mosca da schiacciare. Ieri a distanza di pochi giorni dal precedente incidente di Luana D’Orazio, un’altra vittima sul lavoro. La procura di Prato è impegnata nelle indagini per scoprire le responsabilità per la morte della giovane ventiduenne. Luana aveva un figlio di cinque anni, una ragazza madre piena di vita, giovane, bella e sorridente. A Busto Arsizio muore sul lavoro un operaio di 49 anni, Christian Martinelli. L’uomo padre di due figlie di sette e otto anni si lamentava con la moglie Sara “…siamo in pochi a lavorare…”, il Covid-19, ha fatto la sua parte. Inutile scendere nei dettagli dei due incidenti, ci penseranno le diverse Procure. Quello che rabbrividisce è la distanza di tempo tra le due tragedie, un giorno appena. La paura del contagio ci fa dimenticare tutto, qualsiasi altra morte sembra essere passata in secondo piano, non va bene. Quella della difesa del diritto alla salute nei luoghi di lavoro è una materia controversa e farraginosa. In Italia, con il rimbalzo di responsabilità tra politica e magistrati, le loro lotte, siamo arrivati a un punto di non ritorno. Le morti degli operai spesso attendono anni per ottenere giustizia, il caso della TissenKrupp di Torino è emblematico. Di chi la colpa? Spesso ma non sempre dei tempi dei procedimenti, le “Leggi”, si votano in Parlamento. In Italia si può subire la stessa sorte, lo stesso incidente sul lavoro, lo stesso licenziamento, ma le sentenze non sono sempre uguali e giuste. Parlare della durata di un processo è un esercizio accademico che lasciamo volentieri alle grandi firme che ci annoiano ogni sera in Tv. Anni di processi, piccole bugie e mezze verità, spesso per scagionare industriali che possono mettere mano alla tasca per un “Principe” del foro. I parenti delle vittime invece fanno la colletta per pagare un avvocato, non un “Principe“, tra amici e colleghi di lavoro. Alla fine i colpevoli non pagano mai con la galera, magari effettueranno un prelievo in una Banca, una delle tante per i risarcimenti. Allora basta con questa droga mediatica, si ritorni alla vita di tutti i giorni. Si cominci sul serio a difendere il lavoro, la dignità, la salute di chi lavora; soprattutto perché quel lavoro produce ricchezza e servizi per tutti. La morte di una giovane donna, madre, di un uomo maturo, padre, non può passare in secondo piano. Le notizie dei brevetti, dei vaccini, delle truffe dei soliti mariuoli amici e amici degli amici di politici e burocrati, ci hanno annoiato. Succederà ancora che si muoia sul lavoro, il rischio è dietro l’angolo ma la vita è una cosa importante, per tutti e va difesa non soltanto dal Coronavirus ma da ogni rischio.
gianni bianco